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Digital Divide: più lavoro e meno parole

di Andrea Glorioso

 

Di "Digital Divide", l'abisso che si sta aprendo tra chi ha accesso al "brave new world" digitale e chi rimane al palo analogico, si parla oramai da tempo e in sedi diverse, dal centro sociale al vertice del G8. E' diventato un po' un termine alla moda, uno di quei dittici di cui ci si riempie la bocca e di cui si infarciscono le pagine delle riviste di "niueconomi" quando occorre bilanciare con un po' di eticità lo spettacolo della disperata corsa al profitto che il capitalismo moderno ci sta offrendo - con i suoi morti e i suoi feriti, prontamente dimenticati perché qualcuno dice che "così va bene, avevamo previsto tutto".

 

Se questo cappelletto introduttivo sembra troppo politicizzato, rassicuratevi: non sembra, lo è. Il "Digital Divide" è un tema profondamente politico. Se sembra troppo radicale, avete ragione: il "Digital Divide" è un tema per affrontare il quale occorre porsi delle domande scomode a proposito delle radici stesse su cui si basa la nuova economia - che è cosa diversa da Internet e dalla telematica, che hanno sempre teso ad una diffusione virale e capillare della "ricchezza" (qualsiasi sia la reale natura di quest'ultima).

 

Scrivere che Internet e la telematica "hanno teso" di fatto non è esatto. Esse non sono esseri viventi; non hanno puntato in una direzione per loro natura intrinseca, ma per la spinta dei pionieri che vi hanno buttato lacrime e sangue prima che le grandi corporazioni intervenissero dicendoci per cosa era giusto e per cosa era sbagliato usare le tecnologie telematiche. E' stata la forza delle persone a rendere Internet quel potente strumento che è oggi - uno strumento, dunque per sua natura avulso da implicazioni morali, che vanno cercate invece nelle decisioni di chi utilizza lo strumento per smerciare fotografie di bambini violentati piuttosto che per aiutare missionari comboniani a comunicare ai "field center" dell'ONU i fabbisogni giornalieri di cibo e medicinali.

 

Il "Digital Divide", la frattura che si sta creando sempre più spessa tra i nuovi ricchi e i nuovi poveri (che alla fin fine, guarda un po', sono sempre gli stessi ricchi e gli stessi poveri), tra chi ha accesso ai nuovi mezzi di comunicazione e chi continua a pensare, vuoi per propria pochezza spirituale, vuoi per oggettivi interessi esterni, che il proprio mondo si ferma appena fuori dal proprio villaggio, fuori dal proprio gruppo, fuori da chi ha la pelle del suo stesso colore o prega i suoi stessi dei; tutto questo è un qualcosa che si può sanare.

 

Occorre sgombrare subito il campo da alcune potenziali critiche. Il campo di discussione relativo al "Digital Divide" è enorme; poche persone, e chi scrive non è sicuramente tra queste, hanno le competenze e le conoscenze necessarie ad occuparsene "in toto". La mia attenzione è attirata dal problema di come le nuove tecnologie possano aiutare i paesi in via di sviluppo (PVS d'ora in poi) a superare i loro deficit tecnico-economici e a sfruttare a pieno regime l'enorme potenziale di cultura, storia, imprenditorialità che per precise ragioni storiche (e non per motivi imprescrutabili) è stato sinora soffocato.

 

Sarebbe stupendo se questo spazio, gentilmente offerto da Annozero, diventasse un forum di discussione e di approfondimento condiviso sulle problematiche proprie del Digital Divide. Un obiettivo ambizioso, ma personalmente ritengo che in Italia esista un grande interesse nei confronti di queste tematiche, e che l'apparente mancanza di azione sia dovuta sia a logiche mediatiche per le quali Internet dev'essere abbinata (in ordine rigorosamente alternato) al neomiliardario sedicenne e ai "ladri di bambini", sia alla mancanza di un punto di riferimento per studi e proposte relative all'argomento.

In Italia manca qualcosa di analogo a ciò che l'IRDC è per il Canada e CPSR-Africa è per il continente culla dell'umanità. Spero di essere smentito in men che non si dica, che invece in Italia di questo tema si discute da moltissimo tempo, e che in rete si trova già un enorme quantità di materiale italiano al riguardo: in tal caso, sarei felice se questo spazio diventasse via via un'utile raccolta di link relativi all'esperienza italiana sul "Digital Divide".

 

C'è molto da scrivere, molto di cui discutere, molto da fare. Prossimamente - si pronuncia "quando il mio 'vero' lavoro me lo permetterà" - appariranno articoli su temi di base:

l'utilità delle tecnologie informatiche per i Paesi in via di sviluppo: che senso ha fornirli di Internet se in certi paesi ancora si muore sulle mine terresti mentre si va a scuola?

Internet, il modello culturale occidentale, le tradizioni indigene; Internet come nuovo medium di penetrazione dell'economia capitalistica in un tessuto sociale lesionato e facilmente influenzabile.

accessibilità: senza dover occuparsi necessariamene dei paesi in via di sviluppo, siamo sicuri che il Digital Divide non stia già colpendo il nostro vicino di casa? Magari è il non vedente, che non può usufruire dei siti non rispettosi delle specifiche WAI. Magari è il non abbiente (si pronuncia "povero") sotto casa, che non può permettesi l'ultimo modello di Pentium IV e sarà per sempre escluso dal visionare siti che richiedono centinaia di mega di RAM per far partire l'applet java o l'animazione flash assolutamente non funzionale all'informazione che il sito dovrebbe offrire.

Per tutti coloro che stanno leggendo queste righe e hanno qualcosa da dire, pro o contro, trasversale, aggiuntivo, qualsiasi cosa: scrivete. Il "Digital Divide" è un qualcosa che si può colmare, ma occorre costruire insieme una consapevolezza il più ragionata possibile prima di poter trovare le strade migliori per far sì che "ciò che essi credevano impossibile, noi l'abbiamo compiuto: perché la prima vittoria sta nel liberarsi da ciò che si crede impossibile perché "è sempre stato così".